Necropoli preromane

Necropoli preromana di Ameglia (in località Cafaggio)

Per raccogliere informazioni sugli antichi Liguri ci vengono in soccorso i ritrovamenti di tombe e necropoli. Un esempio sono le necropoli preromane di Chiavari,  Ameglia e Genova. Durante la prima Età del Ferro, gli antichi Tigullii, “- commercianti, artigiani, marinai ed agricoltori, tra cui si distinguevano abili tagliatori di lastre di ardesia – accolsero il rito della cremazione (o incinerazione), comune all’Italia centro-settentrionale e di provenienza centroeuropea. Tale rito consisteva nel cremare il corpo del defunto sul rogo funebre, nel raccogliere le ossa non completamente combuste e suoi oggetti entro apposite urbe cinerarie di terracotta, le quali rinchiuse da ciotole capovolte, venivano deposte insieme a vasi rituali entro apposite tombe formate da lastre litiche, conficcate nel terreno”.[1]  Si tratta della più antica e singolare testimonianza archeologica del popolo preromano dei Liguri individuata in Liguria. Le tombe femminili erano caratterizzate dalla presenza di elementi di ornamento, quali anelli, orecchini, spille, bracciali e di uso quotidiano, quali le fusaiole; nelle tombe maschili erano deposte armi, sempre spezzate o ripiegate ritualmente in modo che nessun altro guerriero potesse più utilizzarle , in modo che nessun altro guerriero potesse più utilizzarle. All’interno delle aree sepolcrali spesso le tombe erano organizzate per gruppi, che indicano probabilmente l’appartenenza a nuclei familiari. La necropoli di Chiavari (che si estendeva fra corso Millo, a monte della chiesa di San Giacomo di Rupinaro e la collina del Castello di Chiavari), è stata utilizzata tra la fine dell’VIII e l’inizio del VI sec. a.C., e “ha restituito 125 tombe a cassetta costruite in lastre squadrate di argilloscisto locale, spesso con incavi per gli incastri, racchiuse entro 96 recinti rettangolari o quadrati (solo tre circolari) formati da lastre conficcate verticalmente nello strato di sabbia. I recinti, addossati gli uni agli altri per successive agglomerazioni, formavano tre complessi separati e costituivano ciascuno un monumento funerario autonomo, probabilmente indizio di unità famigliare[2]

Nel 1898, in occasione dei lavori di apertura della monumentale via XX Settembre vennero alla luce 73 tombe complete di arredo; i ritrovamenti successivi nelle aree adiacenti fino a quello del 1966, hanno portato a 121 il numero delle tombe ritrovate. Le necropoli si estendeva sui due versanti formati dal torrente Rivo Torbido, con maggiore concentrazione nella zona dell’attuale Via XX Settembre prossima a Piazza De Ferrari. Le tombe erano di tipo a pozzetto, formate la un pozzo superiore tronco-conico largo anche più di 2 metri, chiuso sul fondo da un lastrone di pietra, sotto il quale si trovava il vero pozzetto contenente l’urna con i resti del rito della cremazione. Il cinerario era costituito in genere da un cratere dipinto a figure rosse, accompagnato da altri oggetti, mentre il corredo di solito sistemato sopra il lastrone di chiusura del pozzetto inferiore. La ricca necropoli genovese, in uso dal V al III secolo a.C., conteneva ceramiche di pregio ateniesi, dell’Italia meridionale d’imitazione attica e campane, con qualche oggetto di fabbricazione locale. Non mancano bronzi, anforette fenicio-cartaginesi, monete, ecc. a riprova dei rapporti commerciali intrattenuti dal primitivo porto ligure con tutto il Mediterraneo.

[1] Enzo Bernardini – Itinerari Archeologici – LIGURIA – Newton Compton Editori – pag. 179
[2] Piera Mielli – L’Italia preromana. I siti Liguri: Chiavari - Treccani